Castello Aragonese
Ponte Aragonese - 80077 Ischia (NA)
Il Castello Aragonese fu costruito da Gerone di Siracusa nel 474 a.C.; esso fu utilizzato quale fortezza e rifugio sicuro per quanti vollero difendersi nei momenti di necessità e anche come vedetta per osservare le mosse dei nemici. La storia ci narra che Gerone pretese il Castello come ricompensa per aver scacciato i Tirreni dall'isola. Col tramonto di Gerone, la fortezza passò ai Romani. Dopo la caduta dell'Impero Romano la fortezza sub! una serie di occupazioni fra le quali ricordiamo Visigoti, Vandali, Ostrogoti, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini e Aragonesi. Nel 1441, Alfonso I d'Aragona, vinto dalla bellezza del sito, trasformò la fortezza di Gerone in un meraviglioso Castello dove trascorse i giorni più felici della sua esistenza con la bellissima Lucrezia d'Alagno. Ma il massimo splendore fu raggiunto il 27 dicembre 1509. Scrive il Buonocore nella sua "Storia di uno Scoglio. "Quel giorno il Castello isolano ` convertito in una serra grandiosa di fiori venuti da ogni parte, sembrava non più quello. Sulle torri sui pinnacoli dei templi, tra i merli della case era un aliate festosi di orifiamm di tutti i colori, festoni di edera scendevano fitti dalla rocche, dalle terrazze, vestivano di verde le pareti. Nell'aria limpida, serenamente azzurreggiante, sotto gli sbadigli di un tiepido sole invernale, volava tra un'orgia di luce, un fervore di nozze". Ferrante D'Avalos, il vincitore di Francesco I, sposava Vittoria Colonna, la prima poetessa d'ltalia. Vittoria Colonna dimorò sul Castello dal 1501 al 1536 e fu circondata dai migliori artisti e letterati del secolo: Michelangelo Buonarroti, Ludovico Ariosto, Iacopo Sannazzaro, Giovanni Pontano Bernardo Tasso, Annibale Caro l'Aretino, il Sodaleto, la Gambara e molti altri. Con la morte di Alfonso d'Avalos, avvenuta nel 1546, il Castello subì nuove dominazioni e saccheggi tuttavia nel 1734 ospitava: 1.892 persone, un vescovo, un capitolo dieci chiese, cinque parrocchie, un convento di clarisse, un governatore col relativo esercito. Poi venne il periodo di decadenza e di tristezza. Nel 1851 il glorioso maniero diventò luogo di pena, vi trascorsero giorni di dolore e passione i precursori dell'unità italiana: Poerio, Settembrini, Pironti, Nisco, Agresti, Tommasi e tanti altri. Nel 1890 i fabbricati del Castello passarono al Demanio mentre i terreni coltivati passarono all'Orfanotrofio Militare di Napoli. Nel 1912, spogliato delle sue immense ricchezze, il Castello passò all'avv. Nicola Mattera, attuale proprietario. Passato il lungo ponte di 220 metri si arriva sotto al ciglio del Castello dove era incastrato alla porta di ingresso il ponte levatoio. Qui c'era una campana che veniva suonata solo se dall'Epomeo veniva una grande fumata. Significava che i nemici si avvicinavano ed era tempo di scappare dai campi per rinchiudersi nel Castello.
Per salire al Castello c'è una strada scavata nell'interno della viva roccia ed è tanto larga che un tempo vi passavano i carri dei soldati e delle provvigioni. Vi sono dei lucernari scavati nella viva pietra attraverso i quali si gettava olio bollente e pietre sui nemici. Ai tempi di Gerone si saliva per una strada esterna dal lato di Vivara. Tuttora la si può osservare. Dopo una cinquantina di metri dalI'entrata vi è una seconda porta ferrata dietro alla quale si presenta un grande spazio coronato di bastioni; era una volta la prima batteria. Alle spalle della prima batteria si apre il traforo fatto scavare da Alfonso d'Aragona, un vero sforzo titanico se pensiamo che venne scavato tutto a mano. La grande galleria porta sino a metà del Castello. A metà salita della grotta incontriamo una cappella scavata nella viva pietra; sulI'altare sorride l'unico santo che abbia mai avuto l'isola, un santo tutto ischitano: San Giovan Giuseppe delIa Croce (1654-1734). Si racconta che quando il santo aveva due anni, venne attaccato dalla peste ed il suo corpo era pieno di bubboni. I genitori vollero portare il piccolo ai piedi della Madonna della Libera che era venerata sul Castello. Una volta giunti al punto dove ora si trova la cappella, andarono per guardare il bimbo e con loro meraviglia trovarono che tutti i bubboni erano completamente scomparsi. Gli ischitani quando Giovan Giuseppe venne dichiarato Santo costruirono la cappelletto in omaggio a San Giovan Giuseppe (1839). Alla fine della galleria, fornita di lucernari attraverso i quali si poteva gettare olio bollente e pietre sugli assalitori, ci troviamo avanti ad una porta colossale che ci mette in mente l'ingresso di un vero castello medioevale. Dalle alte rampe di scale che portano al Castello è possibile ammirare, sulla costa dell'isola d'Ischia al di sopra degli scogli di Sant'Anna, la cosiddetta Torre di Michelangelo. Che Michelangelo abbia soggiornato alquanto in quella torre non vi sono documenti, ma la quattrocentesca costruzione apparteneva al duca di Bovino, Giovanni di Guevara, padrone e signore dell'isoletta Guevara (I'odierna Vivara). Nella torre vi sono alcune pitture che si vogliono attribuire al Michelangelo, eseguite nel periodo in cui vi soggiornò e si consumava d'amore per Vittoria Colonna. La cattedrale era dedicata all'Assunta. Fu costruita nel 1300, quando gli abitanti di Geronda, situata nella pineta attuale, si trasferirono sul Castello a causa dell'eruzione dell'Epomeo (sul lato di Fiaiano). Nel 1509 e precisamente il 27 dicembre in questa cattedrale si celebravano le nozze della poetessa Vittoria Colonna con Ferrante d'Avalos, signore di Ischia e marchese di Pescara. La cattedrale è di due piani. La chiesa superiore a tre navate ci ricorda un poco l'attuale duomo d'Ischia. E' di stile romanico con sovrapposizione di stile Barocco. Dal 1809 crollò sotto le cannonate degli inglesi, che stavano appostati sulla collina di Soronzano. Fu distrutta non solo la cattedrale, ma andò in frantumi la tomba di Giovanni Cossa, padre del papa Giovanni XXIII. L'altare maggiore fu trasportato nell'attuale cattedrale d'Ischia e serve ancora da altare maggiore; i resti della tomba di Giovanni Cossa, signore d'Ischia, si trovano parte nella cattedrale odierna e parte nel seminario. A piano inferiore vi sono le cappelle delle famiglie nobili del Castello ed i luoghi dove essi venivano seppelliti. Meravigliosi affreschi della scuola di Giotto (1300) adornano le pareti. Andando sulla strada laterale incontriamo l'entrata dell'abbazia dei monaci Balisiani del 1300. Gli archi gotici dell'entrata ci mostrano le predilezione dello stile in quell'epoca. Tra gli altri ordini religiosi passarono sul Castello anche i Basiliani, i quali avevano pure un convento sulla collinetta di S. Pietro a Porto d'Ischia. Girando sulla sinistra incontriamo l'ampia chiesa dell'Immacolata. La imponente mole della sua cupola viene notata da tutta la città d'Ischia. E' di uno stile barocco e venne fondata nel XV secolo con al lato l'episcopio ed il il convento delle clarisse. Nell'edificio (non visitabile) i vescovi vi rimasero dal 1300 al 1750. Attraverso una porta si giunge nel monumentale convento delle Clarisse. Fondatrice del convento fu la nobil donna napoletana Beatrice Quadra, vedova d'Avalos, nel 1575. Le prime monache furono raccolte nell'eremo dell'Epomeo, ma non resistendo al rigore del freddo invernale, si trasferirono per sempre sul Castello. Le monache si avvicendarono nel convento dal 1577 al 1809, data in cui Gioacchino Murat, re di Napoli, emanò la legge di soppressione degli Ordini religiosi e confiscò i loro beni. Alcune monache passarono al convento di S. Antonio e l'ultima dell'ordine mori nel 1911. Sotto la chiesa dell'Immacolata è situato il cimitero delle monache. La visione è macabra e quasi inverosimile. Le monache, dopo la loro morte, invece di essere interrate, venivano sedute su seggiole in muratura che avevano di sotto un vaso bucato di creta detto "scolatoio". Oggi sono ancora esposti al pubblico. Mentre la carne si decomponeva lentamente, le altre monache meditavano sulla fragilità della vita umana e sulla morte. Consumata la carne e sconnesso lo scheletro, le ossa venivano ammassate in un recinto. Oggi non vi sono più le ossa, ma i seggi sono ancora visibili. Riprendendo la strada che conduce alla parte alta del Castello, dopo breve distanza, in mezzo al vigneto, si può ammirare un tempio d'arte cinquecentesca. E' un tempietto esagonale dedicato a San Pietro a Pantaniello. L'architettura si attribuisce al Vignola. Fu fatto costruire dai monaci Basiliani i quali avevano un altro tempietto sulla collina di San Pietro a Porto d'Ischia. Quando i monaci lasciarono il convento sulla collina di San Pietro e lo stesso tempietto esagonale sul Castello, tutti i beni passarono al clero secolare che stava sul Castello e cost prese in consegna il tempietto. Ai piedi dei grande Maschio Angioino, dopo che abbiamo ripreso la strada verso l'alto, scendendo per un piccolo vicolo si arriva alle prigioni del Castello. Le prigioni per delinquenti comuni, nel 1851, vennero usate per i prigionieri politici. In esse troviamo rinchiusi: Carlo Poerio, Settembrini, Pironti, Battistessa, e molti altri eroi del nostro Risorgimento. Dopo che abbiamo varcato i massicci cancelli di ferro, s'apre davanti un cortiletto dove i condannati prendevano aria; in un angolo c'era una cappellina con l'altare e i condannati ascoltavano la messa restando all'aperto, ben guardati dalle diverse garitte e dagli spioncini. L'interno del carcere è tetro. I prigionieri erano sorvegliati a vista giorno e notte. Padrone e signore di tutto il Castello domina dall'alto l'antico Maschio Angioino. Fu fondato da Roberto d'Angiò, re di Napoli. Non si visita e può essere ammirato salo da lontano. Anche qui si notano: torri, bastioni, feritoie. Di dentro vi erano la reggia per gli svaghi estivi dei re di Napoli, il palazzo del castellano e le sale tutte ornate di oro, Qui venivano accolti i più grandi cavalieri dei tempi, poeti, scrittori e artisti del pennello. In tutto erano un centinaio di stanze. Ora non avanza più niente. Il Maschio Angioino fu ricostruito interamente da Alfonso d'Aragona nel 1441. Qui teneva la sua sontuosa casa Vittoria Colonna che vi stette per 35 anni circa. Oggi si sta restaurando l'interno del Maschio e si sono rinforzare le mura esterne per riattivarlo al pubblico. Intorno al Maschio vi sorto alcuni fabbricati che furono danneggiati dalle cannonate degli inglesi quando nel 1809 spararono da Soronzano contro il Castello.
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